Editoriali

L’unica cosa che conta

Ci siamo. Un’altra estate di veleni e malumori è (finalmente) negli annali.

Ora parli il campo, che vedrà il Biancoscudo impegnato per il quinto campionato di fila nelle sabbie mobili della Serie C. Sono tempi di vacche magre, non nascondiamoci, per il Padova di Vincenzo Torrente. Archiviate le vicissitudini di un quadrienno mai così tribolato, mandati giù i bocconi di due (anzi quattro) promozioni perse sul filo di lana, dimenticati pure gli episodi di totale schizofrenia dello scorso torneo – tra dirigenti, calciatori, arbitri, c’è materiale per un libro – è arrivato il momento di fare silenzio, e prepararsi al kick-off di un altro campionato.

Il torneo 2023/24 si apre con più interrogativi che certezze. Entusiasmo e attaccamento sono ai minimi storici, la situazione stadio fa venir voglia di piangere (ne parleremo, dei disastri legati al cantiere – bloccato – per la nuova Curva Sud, cercando di essere educati, ma lasciarsi andare agli improperi sarebbe a questo punto legittimo). Mettiamoci anche una sessione di mercato coi cordoni della borsa tirati, e l’immancabile, incontentabile, polemico spesso senza cognizione di causa, ‘tifoso’ biancoscudato.

La miscela è di quelle potenzialmente esplosive. Quella di una piazza giustamente scontenta, ridotta ai minimi termini (numerici) da una caterva di vicissitudini: progressivo disamoramento, l’aria di superiorità che solo una ‘capitale’ come Padova riesce a trasmettere, e una buona dose di vittimismo. Una piazza che contesta alla ricca proprietà di aver chiuso i rubinetti delle spese dopo un triennio di denaro gettato senza risultati, e che si aspetterebbe qualcosa di più per una squadra e un club – alla fine dei conti – con una storia da rispettare e valorizzare.

Tutto giusto a primo acchito, se non si considerasse che la storia – quella gloriosa – del Calcio Padova è effettivamente relegata a libri impolverati. La realtà più recente racconta di lampi nel buio, gioie effimere, annate funeste, errori concatenati, e un contesto ambientale – il ‘maledetto’ Euganeo, ancora una volta – che invoglia a sperimentare con il tritolo più che all’avvicinarsi alla squadra di calcio della città.

Quindi, ci chiediamo: è sufficiente, tutto questo, a tenere lontano dal Padova chi ha davvero a cuore le sorti del Biancoscudo? No, chiaro e tondo. L’unica cosa che conta è la maglia, a scanso di equivoci. Quella che, tirate le somme, fa battere il cuore quando la si vede in campo. Quella indossata dai vari interpreti chiamati a difenderla con onore e un briciolo di passione in mezzo al campo. E chi se ne frega che si chiamino Donnarumma, Kirwan, Fusi, Capelli, o Bortolussi, e non chissà quale altro prodotto del meraviglioso calcio italiano di oggi tanto invocato dagli esperti allenatori e improvvisati scout del mondo virtuale.

Chi se ne frega. Quando il Padova è in campo, conta solo la maglia. È un diritto – sacrosanto – urlare il proprio disappunto quando questa viene disonorata. A patto di imparare, con un po’ più di umiltà e di amor proprio, a fare il proprio dovere di tifosi prima di permettersi di spendere una critica. Si torni a scuola allora, si impari a sostenere la maglia, che viene prima di tutto (e tutti). Questo è un dovere insindacabile.

Stasera si ricomincia. Dai 400 in viaggio per Mantova, da una squadra che si spera possa far divertire, da una realtà sportiva tutta da ricostruire. Mettendoci del nostro, da tifosi, prima di tutto. E poi con le vittorie. Perchè in Serie C – dove siamo oggi, in una dimensione che attualmente rispecchia Padova in tutto e per tutto – bisogna solo vincere.

Forza, Padova!

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