Ezio Vendrame: il mio calcio
Vendrame, genio e sregolatezza: i ricordi, gli episodi, il rifiuto di vivere nella normalità. Un ritratto denso per un campione di fantasia come pochi altri, dalle pagine della rivista “Il Padova”, nel 1991, a cura di Luigi Carrai
“Se quel ragazzo avesse testa potrebbe giocare dieci anni in Nazionale”. Quel ragazzo era Ezio Vendrame, giocatore del Vicenza, poi del Napoli e del Padova. Il parere autorevole, invece, fu di Boniperti, allora numero uno della Juventus che, in modo educato gli dette del “bravo e matto”, binomio che fa a pugni ma soprattutto paura, terrore nel mondo del pallone.
Vendrame quindici anni dopo non è cambiato. Fa l’allenatore della Berretti del Venezia, suona la chitarra e scrive poesie. Pensa a modo suo, parla a modo suo: “Sono matto? No, vivo. C’è chi nella vita si tira giù le braghe e chi non lo fa. Io non l’ho mai fatto. Sono un uomo vero, miliardario senza una lira. So amare, è questo è l’importante. Ho amato molte donne e poca gente del calcio, nessuno che conta: al Padova, Berto Piacentini, troppo presto dimenticato, il dottor Ancona e Pino Lazzaro. Da Pino volevo avere un figlio, come da tutte le persone che amo, solo che non è stato possibile. Non è facile essere madri”.
Vendrame parla a getto, è fatto così.
“Vuoi qualche aneddoto? Una volta, una partita Padova-Cremonese di Serie C, gran caldo di fine campionato, c’era un tacito accordo di pareggio. Il pubblico aveva iniziato a fischiare. Mancavano le emozioni, allora presi il pallone e puntai verso la mia porta, scartando due o tre compagni. Arrivai davanti a Bartolini, lo stadio si ammutolì, fintai il tiro, lui si tuffò. In quel momento uno spettatore in gradinata si sentì male e morì d’infarto. Fu un dispiacere per me ma il tifoso che soffriva di cuore non doveva venire a vedermi. Doveva sapere che Vendrame da’ sempre emozioni”.
“Un’altra volta si giocava Padova-Udinese. Dovevo battere un calcio d’angolo ma avevo il naso chiuso, allora me lo soffiai sulla bandierina, poi feci gol. Nessuno disse niente. E che potevano dire? Al massimo che ero un ragazzo educato”.
“Un’altra volta ancora Fantino Cocco del Gazzettino aveva iniziato a criticarmi, io ero infastidito. A un certo punto mi procurai un rigore e prima di batterlo, mentre l’arbitro e i giocatori aspettavano, mi allontanai dal pallone andando verso la tribuna stampa. Gridai a Fantino: ‘Ehi tu, vuoi vedere che il pallone lo mando da una parte e il portiere s’impicca all’altro palo?’. Detto e fatto. Da quel momento nessuno mi rivolse più critiche”.
Vendrame, di Casarsa della Delizia in Friuli, iniziò a giocare nelle giovanili dell’Udinese, poi due anni alla Spal in A, uno al Siena, a Sassari e a Rovereto in C, quattro al Vicenza e uno al Napoli in A, due al Padova e uno all’Audace in C. “Ho smesso di giocare per amore. Un grande amore. Prima di finire la carriera sono stato anche tra i dilettanti, nel Pordenone allenato da Buffoni, che deve a me la sua scalata. Cosa ne penso di lui? È un allenatore. Ho conosciuto anche Enzo Ferrari. È un uomo vero. A me non interessano quelli che non lo sono”.
Vendrame e la carriera, Vendrame e il denaro. Vendrame e la politica.
“Dicevano che fossi fortissimo, l’ha detto Boniperti ma non ho mai giocato in Nazionale. Non me ne frega niente. Nella mia vita ho sempre fatto quello che volevo, detto ciò che pensavo. Mi ubriacavo il venerdì, con le donne il sabato e giocavo la domenica. Questo è per me la nazionale: ci ho giocato anni e ci gioco tuttora. Ho sempre rifiutato le amicizie imposte le ipocrisie. Piuttosto che andare a pranzo con i compagni uscivo con i barboni”.
“Il denaro? Ne ho guadagnato molto e l’ho anche speso, tutto. Voglio morire in bolletta, voglio godere fin quando sono vivo. Non mi interessano i castelletti, i soldi me li sono mangiati, alla grande, senza nessuna sofferenza né rimpianto, ma con gioia, immensa gioia. Sono contento di me anche quando soffro mi sento vivo. Non ho mai avuto una vita piatta, non mi sono mai prostituito. Da calciatore ho fatto l’amore come un grillo parlante, per una partita non ho mai forzato me stesso”.
“La politica non mi interessa, sono disgustato dagli uomini politici, che parlano tutti la stessa lingua; la chiesa è un rifugio per dare un senso alla vita. Nel calcio i direttori sportivi esisteranno fin quando i presidenti saranno degli sprovveduti, e i procuratori vivono sulle spalle di chi non è capace di pagare la bolletta del gas e della luce. La differenza tra queste due figure, però, è che il procuratore fa l’interesse dei giocatori e il diesse non sempre fa l’interesse del presidente”.
Vendrame non si ferma più, tocca anche il tasto “allenatore”: “I tecnici di oggi vivono solo di nozioni, mesocicli, ripetute anaerobiche, ma hanno grosse lacune nei rapporti umani. Non capiscono che sono determinanti solo in senso negativo e che sono i giocatori a farli diventare grandi: se hanno la squadra forte vincono, altrimenti possono contare solo in negativo. Gli uomini veri sono grandi allenatori: Bagnoli è un uomo vero e anche Scala mi piace, Di Marzio l’ho ascoltato in TV e mi sembra valido. Bigon, con cui ho giocato nella Spal, è un bravo ragazzo sempre in giacca e cravatta. Colautti non lo conosco”. E Vendrame come tecnico della Berretti del Venezia? “Il mondo del calcio non mi interessa, non mi è mai interessato. Lo faccio solo per i soldi, e per stare in mezzo ai giovani, che sono ancora puri”.
Il ricordo più bello al Padova? “Una sera a casa di Pino Lazzaro, con il poeta Piero Ciampi. Abbiamo parlato che l’acrobata cammina su un filo ma alla fine cade. Poi ricordo il dottor Ancona, Piacentini e gli allenatori Pin e Beraldo, gli unici che ho veramente apprezzato. Sono contento di essere stato a Padova per averli conosciuti. È questo il mio conto in banca. Il più prezioso”.
Ezio riassume se stesso, la sua vita. “Ho quattro grandi passioni: le donne, la musica, la poesia, e il calcio, che viene per ultimo. Non si può vivere di solo pallonek prima o poi si sgonfia e se non sei un uomo vero, non ti resta più niente. La musica mi piace tutta, da quella classica al rock. Poi mi interessano i ‘poeti maledetti’, leggo Bukowski”.
“Nella mia esistenza ho sbagliato molte cose, sono pieno di contraddizioni: sono nato a Casarsa della Delizia, non a Betlemme. Ma sono contento di quello che ho fatto, rifarei tutto per combattere l’ipocrisia e la violenza, caratteristiche della nostra società, che è una giungla. Il male di oggi è che la gente si abbraccia poco: non abbiamo la forza di dirci che ci vogliamo bene. Capita di andare ai funerali di amici e parenti e capire solo in quel momento di avere amato una persona. Troppo tardi, perchè abbiamo troppa fretta di arrivare, di fare i castelletti. Io ai funerali dei miei genitori non ci andrò, voglio amarli adesso, voglio coccolarli finchè sono in tempo. E quando morirò io, bé, allora andrò finalmente dove tutta la gente che ho combattuto vuole che vada: a farmi fottere”.
Tratto da “Il Padova”, anno 2, numero 3 – Marzo 1991
di Luigi Carrai