Quando se ne va una parte di noi… Caro Appiani
Muoviamoci, è tardi: è febbraio, c’è ancora l’orario invernale, la partita inizia alle 14.30. Il pranzo, il risotto della domenica, trangugiato in velocità, giubbotto, sciarpa, un pacchetto di fazzoletti e qualche caramella, le raccomandazioni della mamma (“ste tenti!”) e via in macchina a cercar parcheggio: se papà trova posto in via Sanmicheli l’itinerario ci farà lambire Santa Giustina, se parcheggiamo più avanti, oltre Pontecorvo, sfioreremo il Santo, i miei occhi di bambino sgraneranno come sempre di fronte a quell’enorme, cupo, imponente e fiero cavallo scuro, poi taglieremo per il Prato.
In entrambi i casi giungeremo in via 58° Fanteria: quel baretto pieno di visi giovani, sciarpe e bandiere, il profumo delle sigarette, risate, urla, a volte un po’ di trambusto… Quel parcheggio con centinaia e centinaia di biciclette e poi lui, imponente, l’Appiani. La prima cosa che mi colpirà, come sempre, sarà quella torre altissima, quella dei riflettori, rinnovando il mio sogno, un dì, di scalarlo (come già visto fare da qualcuno peraltro!) per godermi la partita da lassù. Siamo arrivati, che lo spettacolo inizi.
Anzi no. Nessuno spettacolo. Piuttosto, funerali su funerali che si protraggono dal 1994, anno in cui il Calcio Padova se ne è andato all’Euganeo. Stavolta quello definitivo: inizierà la prossima settimana e terminerà tra un anno l’abbattimento della gradinata dello stadio Appiani. Al suo posto un terrapieno con circa 200 posti a sedere, che vorrebbe ricordare la versione originale dello stadio, quella di quando venne inaugurato, nel lontano 1924.
Non discutiamo (meglio: potremmo ma non vogliamo, qui, oggi) la decisione di questa amministrazione comunale, dopo anni di altre, anche di opposti colori, che nel fare nulla ci hanno portato a questo punto di non ritorno.
Non discutiamo l’abbattimento della gradinata, che rientra, dicono, in un “più ampio programma di restyling” che riguarderà via 58esimo Fanteria e dovrebbe restituire pregio, nelle intenzioni, a uno dei punti più belli della città (piste ciclabili, canale Alicorno riportato alla luce, etc.).
Non discutiamo, perché non ne è il caso, non ve ne è la forza ora: siamo lì, impietriti, a osservare quel bimbo, lì davanti, e il suo sogno di arrampicarsi sul palo dei riflettori, tra curva e gradinata, per ammirare la fossa dei leoni dall’alto, per unirsi ai cori, per urlare, per impazzire di gioia al goal di Galderisi.
Ora è triste, si stringe al papà, gli occhi, lucidi, asciugati su quella sciarpa biancoscudata.